Lettera esperienza Giovani e Carcere 2019

Altamura Chiara 5cse

 

Progetto di PCTO

Percorso Giovani e Carcere

 

 

“Giovani e Carcere” è un progetto realizzato annualmente dalla Caritas e dal Servizio diocesano della Pastorale Giovanile di Pavia, un’occasione di incontro, conoscenza e condivisione che consente ai giovani di venire a contatto con la realtà della Casa Circondariale Torre del Gallo di Pavia.

A seguito di un incontro con Don Dario Crotti, direttore della Caritas di Pavia, ho deciso di prendere parte al progetto, in linea con il percorso di competenze trasversali di orientamento in Tribunale e con il tema della devianza e della giustizia riparativa, argomenti affrontati nelle materie di scienze umane e diritto.

Percorso Giovani e Carcere è un progetto a cui prendono parte volontari, studenti, educatori. Oggi più di ieri è fondamentale l’apporto che il volontariato fa per le persone detenute. Un apporto e un sostegno che non possono limitarsi a portare testimonianza o conforto materiale e spirituale; la presenza del volontariato è una presenza essenziale per poter rimettere in discussione la funzione del carcere stesso e il perché la nostra società abbia dato come risposta primaria all’esigenza di Giustizia non la Pena, ma il Carcere. Non è con l’allontanamento che si può pensare di reinserire una persona nella società tant’è che il reinserimento è una delle funzioni previste dalla pena per la nostra carta costituzionale. L’isolamento e l’emarginazione vanno contro ciò che viene dichiarato nel comma 3 dell’articolo 27 della Costituzione: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità devono tendere alla rieducazione del condannato.

L’esperienza è stata realizzata in orario extracurriculare nei giorni 28 e 29 Giugno 2018 presso l’Istituto penitenziario di Pavia Torre del Gallo. La prima giornata prevedeva la conoscenza della realtà carceraria. Prima di incontrare i detenuti abbiamo ascoltato la testimonianza del Direttore del carcere, del Comandante, della Polizia Penitenziaria, del personale educativo e abbiamo visitato la struttura in alcune sue parti e luoghi come la biblioteca, la cucina, la sala colloquio e il teatro. Nel corso della giornata abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci con i detenuti, di pranzare con loro e svolgere attività laboratoriali insieme. Una parola che Don Crotti ci ha invitato a tenere presente, prima di entrare in carcere, è stata “sguardo”. Lo sguardo è la cosa che più ti mette in gioco, è infatti il primo modo con cui si conosce una persona. La prima cosa che si nota negli occhi dei detenuti è la paura, paura di incontrare quella società che loro hanno ferito e paura di non riuscire più ad adattarsi al mondo.

Nella seconda mattinata abbiamo assistito a una conferenza tenuta da Elisabetta Musi, Ricercatrice di Pedagogia Generale e Sociale e da Elena Pezzotti, Docente di Psicologia giuridica e dello Sviluppo dell’Università Cattolica, sede di Piacenza. Ci è stata proposta la visione di alcune scene tratte dal film “Les Miserables”. Insieme ai detenuti abbiamo potuto riflettere sui concetti di libertà, giustizia, perdono, responsabilità e reinserimento.

Quelle degli studenti e dei formatori rappresentano delle figure particolari per chi è ristretto; figure distinte da quelle dei familiari e dei più prossimi e diverse dalle figure del controllo, del giudizio, dell’amministrazione. Una figura fondamentale nel percorso di riflessione e ricerca di chi sta scontando la pena è quella dell’educatore, che si occupa di ascoltare il recluso e di aiutarlo durante la sua permanenza a diventare protagonista di un graduale cambiamento di rotta. Solo così sarà possibile uscire dal carcere senza ricadere nel crimine e cominciare una nuova fase della vita.

Il lavoro che i volontari portano avanti è un lavoro di ricostruzione delle reti, di ripresa di contatto con la propria biografia. Contestualmente vi è un impegno a sensibilizzare il territorio alla tematica della Giustizia, che non può essere vendetta o cancellazione del reo. È fondamentale far riflettere la società sull’importanza di occuparsi delle persone detenute e del cambiare paradigma in merito alla giustizia, che non deve essere più solo retributiva, ma anche capace di dare voce alle vittime e di recuperare il carnefice. Laddove le persone sono affiancate, supportate, dove si rafforzano le loro reti allora le persone che stanno scontando una pena ritornano a essere parte attiva della società. Questo lavoro di affiancamento e di testimonianza e l’incontro con l’Altro è l’elemento chiave del progetto.

L’esperienza svolta presso l’Istituto Torre del Gallo di Pavia è stata per me una buona occasione per vedere l’applicazione concreta dei principi su cui si basa la Giustizia, tematica affrontata nelle materie di indirizzo. Oltre ad avere approfondito le mie competenze giuridiche, attraverso il progetto “Giovani e Carcere” ho potuto vivere una esperienza sul campo presso una struttura che il sociologo canadese Erving Goffman definisce istituzione totale, ovvero un’istituzione sociale che si fa integralmente carico della vita degli individui, appropriandosi in modo totale del loro tempo e delle loro attività. I detenuti infatti, essendo sottoposti a misure di privazione della libertà personale previste dal Codice Penale, non sono più padroni del loro tempo e delle loro attività, tanto che ho notato che gli orologi appesi nei corridoi dove si trovavano le celle erano tutti fermi e segnavano orari differenti, questo perché il tempo per un detenuto ha un valore riflessivo.

Questa esperienza mi è stata molto utile non solo per orientare la mia scelta di studi futuri, ma anche per avermi fatta avvicinare al mondo del volontariato. Sono propensa a frequentare la facoltà di sociologia. Questa da un lato mi permette di ricevere una formazione finalizzata a costruire le basi concettuali utili alla comprensione delle grandi questioni sociali emergenti e della complessità della condizione umana contemporanea. Dall’altro mi fornisce una formazione indirizzata alla gestione di gruppi, organizzazioni e processi della vita associata in specifici settori del mondo del lavoro tra cui la criminalità.

“Giovani e Carcere” è stato un percorso molto profondo con una valenza riflessiva che mi ha aperto gli occhi. Ho capito che l’Altro non è comprimibile in uno schema o dentro azioni decise a tavolino; l’Altro è sempre portatore di una complessità che va accolta e poi va fatta comprendere. Prima di puntare il dito proviamo a pensare che a tutti capita di sbagliare, in modo più o meno grave, ma tutti dovrebbero avere la possibilità di rimediare. Quello che loro ci chiedono non è una giustificazione, ma solo comprensione, vicinanza nella battaglia che stanno combattendo per una vera e duratura ripresa. Anche nella vita fuori dal carcere può capitare di sentirsi “in gabbia” o fuori luogo, quindi non è impossibile tentare di capire il loro stato d’animo. Il carcere non è affatto una passeggiata, è una lunga e faticosa salita dopo uno scivolone; sappiamo che spesso per rialzarsi c’è solo bisogno di una mano. È importante conoscere il mondo delle carceri per iniziare a creare dei ponti tra noi e loro, non bisogna lasciare da solo chi ha bisogno di aiuto.

“Giovani e Carcere” è stata un’occasione di confronto con esperienze e storie di vita, con biografie di giovani e adulti di diversi contesti sociali o formativi; un’esperienza che porta a scoprire di appartenere ad una “comune umanità”.